il nostro staff

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giovedì 28 aprile 2016

LULLI, IL NATALE E IL GRINCH


In Clinica talvolta arrivano casi (e pazienti) più complessi di altri, che possono evolversi in modi inaspettati. Abbiamo chiesto al Dottor Luca Redaelli di raccontarcene qualcuno. Inizialmente ha opposto un po' di resistenza, ma poi ha collaborato. Ecco, quindi, la sua prima storia, quella di Lulli.

Primi di dicembre 2015. La clinica attraversa un periodo abbastanza tranquillo, senza casi particolarmente difficili. Il Natale incombe, e nonostante la mia fama di Grinch acconsento (dopo estenuanti insistenze dei miei collaboratori) all’allestimento del classico abete addobbato in sala d’aspetto.
Nel primo pomeriggio faccio il mio ingresso in ambulatorio per il consueto giro di visite. Mi imbatto in quattro colleghi che parlano con Biba, la nostra Brigitte Bardot in nero, e intuisco che c’è un problema. “OK!” penso, “affrontiamolo.”
“Sai Luca”, iniziano a spiegare, “ci hanno portato una cagnolina bellissima, recuperata in una cascina…”
“Bene”, ribatto, “vuol, dire che ha un proprietario, no?” Grosso errore, non fare una domanda se si sospetta che la risposta non ci piacerà. 
“No, è stata portata qui da una volontaria. È stata investita da una macchina circa venti giorni fa e da quel giorno non si alza. Inoltre, non mangia da almeno tre giorni.”
“OK, vediamola”, dico mentre mi infilo il camice. Si trattava di un cane, femmina, da gregge, di circa sei mesi d’età. Non riusciva ad alzarsi, tantomeno a camminare. Magrissima, sporchissima e con una grossa piaga da decubito su un fianco. Le avevano già fatto delle lastre, da cui si evidenziava una frattura bilaterale del bacino. La rivisito e cerco di farla stare sulle zampe, le provo i riflessi… Non è una bella situazione. Parlo con i miei colleghi e Biba. Spiego che non me la sento di affrontare il caso, perché l’animale sembra parzialmente paralizzato e temo che un intervento possa crearle solo dolore senza portare ad alcun risultato. Si dovrebbe anche riflettere su una possibile eutanasia. Un termine che fa, giustamente, paura ma che in casi estremi diventa l’unica strada percorribile. Chiedo ai colleghi di garantirle le prime cure, di darle dell’antidolorifico e di alimentarla. Anche di parlare con la volontaria, Lorenza, che conosciamo da tanti anni, perché prenda una decisione, che potrebbe anche essere chiedere un altro consulto a una clinica differente.
Il giorno successivo torno in ambulatorio e ritrovo la piccola nella stessa gabbia, pulita, rasata e… scodinzolante. Dopo dieci minuti chiama Lorenza, in lacrime. Dice che dobbiamo fare qualcosa, non vuole portarla altrove, men che meno sopprimerla. Io le spiego come la penso, le sottolineo i miei dubbi, i timori sulle condizioni neurologiche e sulla probabile paralisi. A quel punto Lorenza mi dice di averla vista alzarsi, o meglio tentare di alzarsi appoggiando una zampa.
“IMPOSSIBILE!”, penso, ma decido di prendere tempo. Svolgo il lavoro della giornata e rientro a casa. Il giorno dopo torno in clinica la mattina molto presto e porto da casa alcune fette di bresaola. La giornata è freddina, ma si preannuncia bella. Prelevo la cucciola e la depongo sul prato del giardino. Le faccio annusare la bresaola e poi metto quest’ultima su un piatto a circa dieci metri di distanza. Rientro, chiudo la porta e spio dai vetri. La cagnolina comincia a guardarsi intorno, alza il muso e annusa l’aria fresca del mattino. Ha sentito la bresaola. Io continuo a pensare che non si possa alzare. Dopo qualche minuto nel silenzio più assoluto, e dopo essersi guardata attorno diverse volte, la piccola decide di tentare di raggiungere la bresaola. Sposta in avanti testa e busto, si inarca, punta la zampa sinistra, trascina la destra e raggiunge l’obiettivo! Prende la bresaola e si lascia cadere a terra mentre comincia a mangiare.
“OK, Luca, BISOGNA FARE QUALCOSA, aveva ragione Lorenza.” 
Il giorno successivo riparlo con Lorenza e alcuni suoi amici volontari, chiedendo loro se riescono a farsi cedere il cane e se sono disposti a sostenere parte delle spese mediche. Il proprietario non ne vuole più sapere (ma guarda un po’…) e Lorenza raccoglie i fondi necessari. La cagnolina viene battezzata Lullaby, o sinteticamente Lulli. 
Decido di fare un doppio intervento, bacino da una parte e femore dall’altra, preceduto da una TC, volgarmente detta tac, per una valutazione più completa.
Vado via per un paio di giorni e al mio rientro, non appena mi vede, Lulli scodinzola con grinta e messa sul prato riesce a sostenersi sulla zampa sinistra, senza neanche bisogno della bresaola. Cambio piano operatorio. Scelgo di intervenire solo sul bacino dal lato in cui Luli ha un grosso deficit neurologico causato da una lesione del nervo sciatico in seguito all’incidente, avvenuto ormai venticinque giorni prima. Non intendo toccare il femore sinistro sperando che pian piano la piaga da decubito guarisca.
Il giorno successivo, dopo la preparazione della placca, facciamo l’intervento. Tutto fila liscio. Posizioniamo un catetere vescicale per fare in modo che Lulli rimanga più pulita possibile, vista l’incontinenza urinaria neurologica. 
A distanza di quarantotto ore dalla chirurgia inizia il periodo di recupero. Aiutata da tutti i medici veterinari della clinica, in particolare dalla fisioterapista, viene aiutata a fare ginnastica. 
A distanza di circa sette giorni dall’intervento è in grado di alzarsi e camminare da sola, anche se trascinando la zampa destra. L’inverno mite e secco ha facilitato il compito, consentendo di portatala fuori, sul prato, parecchie volte.
Dopo quattordici giorni noto che Lulli tentava di riposizionare la zampa in maniera corretta, recuperando in tal modo, seppur lentamente, la lesione neurologica. Insomma, cammina autonomamente, magari non perfettamente ma cammina! 
Due giorni dopo Lulli trova anche casa, adottata da una veterinaria della clinica, la biondissima Stefania. Un bel regalo di Natale per tutti, bipedi e quadrupedi.
Niente male per un Grinch in camice azzurro, vero?





venerdì 22 aprile 2016

UN ARTICOLO INTERESSANTE

La rivista "La professione veterinaria" (non cercatela in edicola, è una rivista per addetti ai lavori venduta su abbonamento) pubblica un interessante articolo sul benessere animale.


mercoledì 20 aprile 2016

LA NOSTRA TAC


TAC è l'acronimo di Tomografia Assiale Computerizzata. In inglese è detta TC o CT (Computer Tomography). Si tratta di una metodica di diagnostica per immagini che sfrutta le radiazioni. È in grado di rappresentare il corpo del paziente in sezioni (tomografia) secondo piani assiali, cioè con tagli trasversali. Il tubo radiogeno, l’elemento che emette i raggi X, ruota attorno al paziente, che sta sdraiato su un lettino che si muove orizzontalmente. Il campo di applicazione della TAC è molto vasto: si va dal campo neurologico a quello scheletrico fino all'oncologico.


giovedì 7 aprile 2016

UN CANE CI CURERÀ


Ormai è noto ai più che gli animali, in particolare gatti e cani sono in grado di apportare un influsso positivo alla sfera emotiva umana grazie alla pet therapy, la terapia dolce che prevede l’interazione tra uomini e non. Ma i cani hanno influito in modo ben più incisivo sul benessere fisico dei loro migliori amici. 
George è uno Schnauzer che ha dimostrato che i cani sono in grado di fiutare i tumori. L’idea è venuta a fine anni Novanta ad Armand Cognetta, un dermatologo della Florida, dopo aver letto un articolo sulla rivista medica The Lancet. Rivoltosi a un celebre cinofilo, gli chiese aiuto per trovare un cane adatto all’esperimento. La scelta cadde proprio su George, a causa della sua abilità nel rintracciare esplosivi tramite fiuto. Gli venne quindi insegnato a ritrovare provette nascoste contenenti melanomi maligni, dopodichè venne lasciato libero in mezzo ad alcuni pazienti affetti da tumori alla pelle, individuandone sei su sette. Da allora in diversi centri specializzati fervono studi per utilizzare i cani quali “mezzi” di diagnosi di tumori e in alcuni di questi la ricerca si è già trasformata in metodo.

lunedì 4 aprile 2016

DA BERE AGLI ASSETATI


I gatti solitamente non bevono molta acqua, certamente meno dei cani (e non solo per questioni di differenti dimensioni), tuttavia l’acqua è vitale anche per loro. Per questo le ciotole dell’acqua devono essere sempre pulite e costantemente rifornite di acqua fresca. Mediamente, un gatto dovrebbe bere giornalmente ottanta millilitri di acqua per ogni chilogrammo di peso. Diciamo, all’incirca uno dei nostri bicchieri d’acqua. È difficile essere precisi, anche perché dipende in parte dal tipo di cibo che mangia. Quello secco richiede più acqua, quello umido di meno. Inoltre, quanti di voi sanno dire con precisione il quantitativo di acqua che bevono al giorno? Una cosa è certa, preferiscono l’acqua corrente a quella statica. Anche in questo caso non c’è una spiegazione precisa, ma l’acqua corrente solitamente è più fresca. Dopotutto anche gli esseri umani preferiscono un bel bicchierone d’acqua appena uscito dal rubinetto a uno rimasto sul tavolo per delle ore. Se non volte abituare i vostri gatti a bere dal rubinetto della cucina (ve lo sconsigliamo, altrimenti vi perseguiteranno ogni volta che lo aprirete) vi consigliamo di comprargli una fontanelle apposta per loro. In commercio se ne trovano di molti tipi, anche economiche.
Forti variazioni nel consumo di acqua possono indicare problemi di salute. Fate quindi attenzione, se il vostro gatto non beve mai o se, al contrario, beve in continuazione meglio farlo visitare dal veterinario.